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Le collezioni Primavera 2021 smantellano i cliché d’Alta Moda

Pensare alla parola “Couture” porta Daniel Roseberry a mettere in dubbio ciò che per il senso comune la Couture è, e dovrebbe essere. Il visionario direttore artistico di Schiaparelli dimostra ancora una volta di impersonare il perfetto successore del genio creativo di Elsa dal momento che, in pieno rispetto della tradizione della Maison tanto irriverente, smantella i cliché associati a ciò che è usuale, ciò che rispetta le buone maniere; ciò che è prevedibile e – per la prossima stagione – ciò che è di genere.

Il designer inizia dall’eliminare le forme consuete associate all’Alta Moda: niente gonne, né delicati, fragili abiti da favola; ma mette in primo piano capi che solitamente non rientrano in tale contesto, come pantaloni e bomber.

(…) Questi sono abiti che danno consapevolezza del proprio corpo, che fanno pensare a come ci si muove nel mondo”, spiega una nota incantevolmente scritta per mano dello stesso Roseberry. Così, quasi come un bustier metallico, la pelle modellata su un busto femminile ricorda la sagoma scolpita di un uomo su un busto femminile; strutture in maglia vengono ingegnosamente incastonate nelle giacche per assottigliare il punto vita e deviare il volume sulle spalle; un paio di jeans in denim viene rivisitato in seta duchesse slavata e impreziosito da lucchetti dorati. Serpenti tridimensionali ricamati ed impreziositi di cristalli sembrano sul punto di prendere vita propria dai rever di una giacca; un sinuoso abito in jersey di seta con uno strascico di diversi metri viene sorretto da un paio di orecchini.

Le tecniche impiegate e i tessuti sono tutti ugualmente dirompenti e imprevedibili, spesso alludendo anche ai numerosi codici e look inventati dalla fondatrice stessa del brand, come il lucchetto, reinterpretato come una rigida minaudière; o il metro da sarta trasformato in uno strascico esagerato in faille di seta.

Un simile approccio è visibile in Pierpaolo Piccioli, che per Valentino mette in discussione i classici rituali e processi dell’Alta Moda, rinnovando la sua idea di Couture attraverso abiti pensati per esprimere sé stessi, così come ognuno desidera.

La chiama “Couture ricodificata” nelle note della Maison: di fatto la moda di Piccioli, se dapprima ammalia, ben presto stupisce e spiazza, giacché non è ciò che ci si aspetterebbe da una tradizionale passerella di Alta Moda. Spogliati da ogni evidente ornamento, di stampe, orpelli od infiorettature, gli abiti sono fatti di un’estrema sottrazione estetica che comunica tutto tranne che un sentimento romantico, sensibile, “umano”, ma piuttosto un freddo e silenzioso distacco.

Lunghi volumi torreggianti e monocromatici si sviluppano sotto forma di mantelle regali e abiti seconde peau, lasciando via via spazio a bagliori acrilici e cromatismi fluorescenti che spaziano dal rosa shocking al verde all’arancio, spesso declinati in dolcevita che si intravedono da sotto outfit cromaticamente più neutri. Cappotti decostruiti si aprono bruscamente rivelando una costruzione non convenzionale. Niente pizzi né chiffon né ricami intricati per gli abiti da principessa e le ampie gonne a ruota, ma scuba tecnico e tessuti a rete di derivazione sportiva, trasposti in versione fluorescente e abbinati a capi di sapore urban, come canottiere e felpe con cappuccio senza maniche. Per dirla à la Valentino, è certamente un “codice che, pur rimanendo eterno, si rigenera all’infinito”.

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