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Settimana della Moda Uomo / Parigi AI20

L’interesse ideologico e concreto nella Sostenibilità è diventato, negli ultimi tempi, il centro di gravità della moda contemporanea, e la Settimana della Moda maschile di Parigi ha dimostrato anch’essa di vedere la moda sotto quest’ottica.
Designer e brand si sentono in dovere di raccogliere la sfida: ricercare nuovi materiali e pratiche di produzione che abbiano il minor impatto ambientale possibile. Gli interessi etici vengono così elevati a pilastri creativi, su cui si erigono nuove collezioni. Ma attenzione: ciò non sempre succede per le stesse buone intenzioni nei confronti di Madre Terra.
 
I problemi emergono quando la Sostenibilità diventa un simbolo da offrire e consumare al posto del prodotto stesso. In altre parole, quando si ha a che fare con il cosiddetto Greenwashing, una non propriamente sincera preoccupazione ambientale che si nasconde dietro ad iniziative responsabili, volte a trasmettere l’idea di essere impegnati in progetti etici senza realmente cambiare i propri metodi di produzione. E’ una strategia limitata alle parole senza passare ai fatti, che induce ad acquistare da brand che poco hanno a che fare con la Sostenibilità, la cui logica si scontra con la logica stessa della Sostenibilità (Comprare meno, riutilizzare e riciclare, ecc).
La moda non può smettere di produrre; la novità è una prerogativa imprescindibile per la sua sopravvivenza, essendo la moda intrinsecamente mossa da un’incessante ricerca del Nuovo.
Come soluzione al problema ambientale al giorno d’oggi, tale Novità può funzionare meglio se combinata al Vecchio – i materiali tessili già esistenti-, quando questi vengono riciclati, rinnovati e ripensati, addirittura elevati a più alte performance e praticità; quando la loro durata è aumentata, mettendo in discussione gli effimeri cicli delle mode temporanee.
 
E’ un tipo di sostenibilità fondata sull’azione, espressa attraverso piccoli passi concreti verso un futuro migliore in termini di inquinamento ambientale, al fine di andare incontro alle esigenze di oggi senza compromettere quelle di domani.
Basscoutur è uno dei brand eco-consapevoli che sfruttano del materiale già esistente per trasformarlo in nuovi prodotti. Contro l’etica consumistica del fast fashion, i suoi principi fondanti sono riciclare-ripensare-ridisegnare, in nome di una perfetta economia circolare-à-porter. La collezione Autunno-Inverno 2020 di Riad Trabelsi è il risultato del ripensare il materiale tessile in un modo differente, assemblandolo tramite patchwork di maglia e costruendo volumi architettonici utilizzando pezzi upcycled rielaborati.
Il 95% della collezione Autunno-Inverno 2020 di Henrik Vibskov è realizzata invece con materiali e tessuti durevoli: alcune delle fibre derivano da bottiglie PET riciclate al 100% e da lana norvegese di montoni liberi di pascolare in natura.
La collezione Autunno-Inverno 2020 di Phipps vuole essere un progetto di sensibilizzazione sui recenti devastanti incendi nelle foreste della California, della Grecia e dell’Australia. Intitolata Treehugger: Tales of the Forest (Ambientalista: Storie della Foresta), la collezione cerca di catturare l’attenzione sull’energia mistica e sulle proprietà degli alberi in quanto preziose risorse da salvaguardare per il futuro del nostro pianeta. Questo proposito è anche tradotto in un impegno concreto nel trovare materiali tessili sostenibili, come il Piñatex, un cuoio derivante dalle foglie della pianta di ananas, soffice lana Steiff e piuma riciclata.
 
Un diverso approccio si è visto su altre passerelle di Parigi, di brand che hanno inteso la sfilata come piattaforma ideale per diffondere messaggi politico-ecosostenibili, non – o perlomeno non in forma esplicitamente espressa – sostenuti da un concreto impegno in materia.
Walter Van Beirendonck esprime la metafora del mondo attuale attraverso la sua collezione intitolata “War” (guerra) (Walter About Rights = Walter sui Diritti). Volumi inquietanti e slogan sfrontati come Il mio pianeta il mio futuro e Basta comprare moda veloce economica adesso creano forti contrasti con le stampe fiorite psichedeliche e i riferimenti colorati alla natura.
La sfilata di Rhude per l’AI20 è cominciata con un invito all’azione ambientalista, anche se il designer Villaseñor ha dichiarato alla stampa che la collezione non è stata realizzata con tessuti ecosostenibili.
 
Ci sono infinite possibilità che dichiarando un messaggio in modo chiaro su una passerella si possa aumentare la consapevolezza pubblica e scrollare le coscienze; è anzi ammirabile che la moda sfrutti il suo potere attrattivo per indirizzare l’attenzione delle masse verso cause importanti. Ma c’è qualcosa di paradossale in tutto ciò: si tratta di voci che appartengono allo stesso sistema Moda, che è oggettivamente uno dei maggiori responsabili del problema ambientale globale. In quanto parte di esso, ai brand spetta la responsabilità di prendere misure legate al fare Moda più che a far leva sull’attivismo politico – per un’azione spesso delegata ad altri.
I consumatori sono oggi più consapevoli dei loro acquisti e hanno richieste più precise: scegliere brand capaci di prendere misure concrete e che fanno la differenza – seppur con singoli minimi, ma concreti e reali, passi – significa avere la possibilità di fare la loro parte, nel loro piccolo, per un cambiamento ambientale in positivo.

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